Solitamente quando sono in queste situazioni scrivo a lui. Scrivo un post in cui mi rivolgo a chi mi fa soffrire, come se gli stessi parlando; probabilmente perché quando non hai le palle per parlare in faccia al diretto interessato, ti aggrappi ad ogni scappatoia, in questo caso appunto un blog.
Stasera però voglio scrivere e rivolgermi a me. Perché forse è il caso che mi faccia un discorsetto, lo devo a me stessa e alle varie me che si sono conseguite nel tempo.
Cara E.,
Dunque eccoci di nuovo. A sette mesi di distanza, eccoti di nuovo ad aprire il telefono e controllare gli accessi. Eccoti di nuovo nell’apatia più totale, con il film Supersonic sul comodino e te che non lo guardi perché ti sembra molto più importante leggere tutta la chat whatsapp con lui , fino a risalire a maggio 2016. Eccoti di nuovo frenata dallo scrivergli, per paura di cosa? Che non ti risponda? O per paura che, qualora non ti rispondesse, te saresti a quel punto costretta a farti sentire? Che paura hai, se non quella di essere messa al muro ed alzare la cresta?
E allora ecco la domanda più importante, cara carissima E.: cosa direbbe di te, vedendoti ora, la E. del 2013? Come ti guarderebbe? Con quanto disprezzo? Cosa hai fatto per diventare così? Lui era una persona di passaggio, doveva essere semplicemente una persona da sfruttare , e guarda come è andata a finire.
Niente di male, lo sapevamo sarebbe potuto succedere. Non sapevamo però di questa tuo comportamento. Da quando hai deciso di essere scelta piuttosto che scegliere? Da quando sei diventata così paziente da stare in un angolo e aspettare? Te che facevi scenate a ragazzi con cui non ero nemmeno andata a letto, ma ti sentivi in potere di farle solo perché ti piacevano. Te che non ti censuravi mai. Ti ricordi la litigata alla festa dell’Università con LUI, ti ricordi quante gliene hai dette? E dov’era, in quel momento, la paura di non rivederlo mai più? Te lo dico io, non c’era. Perché eri solita anteporti agli altri. Ai ragazzi, specialmente. Prima venivi te, poi loro. Cos’è ora questo ribaltamento di ruoli? Da quando hai deciso che te devi stare in panchina ed entrare in gioco solo quando chiamata? E perché, hai permesso proprio a lui, a questo qua che parliamoci chiaro, é l’ultimo arrivato, di farlo? Chi è lui per te? Nessuno. Ma soprattuto, lasciami chiarire cosa sei te per lui: niente.
Ti ricordi come ti sei sentita a Gennaio, quando sei uscita fuori dalla Microbiologia dell’ Ospedale per fare gli esami che hai dovuto fare? Ti ricordi cosa pensavi? Nel caso te lo fossi dimenticata, te lo ricordo io: il primo pensiero era “fa che non sia quello”. Il secondo pensiero, era “ma che cazzo ho combinato”. Il terzo pensiero era di trattenere le lacrime fino alla macchina. Ma non ce l’hai fatta però, e allora ti ricordo anche questa di scena, di te che piangevi nel parcheggio mentre ti incamminavi verso la macchina. Sola. Lo stesso parcheggio dove nel 2013 scendevi da quella stessa macchina carica come una tigre, perché la vita era meravigliosa perche eri fiera di provare certe sensazioni ed emozioni, seppur così forti e seppur non corrisposte. Perché secondo te, tutto sommato, ne valeva la pena. E ora potresti dirlo?
Se la E. di quattro anni fa fosse passata in quel parcheggio. E ti avesse incontrata così, piangente e addolorata, sola e impotente: cosa avrebbe provato per te? Cosa avrebbe fatto? Ti avrebbe consolata certo. Ma non ti avrebbe capita. Non avrebbe condiviso nè riconosciuto il tuo atteggiamento. Non avrebbe provato empatia per la tua storia. Perché lei, la E. di un po’ di anni fa, dopo un paio di mesi avrebbe avuto la forza di chiudere. Ai primi comportamenti di merda, non sarebbe stata in silenzio e mandato giù. Non avrebbe fatto finta di nulla “perché l’importante è che torni”. Lo avrebbe preso, trattato in malo modo, mandato affanculo e ciao. Ovvio, ci sarebbe stata male un po’, ma dopodiché avrebbe rialzato la testa e sarebbe ripartita.
Ora dov’è invece la tua testa, E.? Hai ancora qualche minima forma di pensiero o ti fai semplicemente trascinare dalla corrente? Una corrente debole e misera, lasciatelo dire, ma pare che per te ora vado più che bene.
Questa è la E. del 2013 che parla, allora. Che squallore. Che tristezza che fai, E. del 2017. Dove sei finita? Quando rialzerai la testa , cara carissima E.?